Nella regione numero uno per produzione e consumo di energia da fossili
Legambiente e CATF svelano la dispersione di metano in 14 impianti tra il lodigiano e il cremasco. Individuati circa 42 punti di emissione, dei quali 20 casi di venting e circa 22 perdite.
Tra gli impianti più critici la Centrale di Stoccaggio di Sergnano (CR) con 10 perdite e 4 casi di venting e quella di Settala (MI) con 1 perdita e 4 casi di venting
Legambiente: “Problema che non risparmia nessuna regione italiana e che, in Lombardia, non può che intensificarsi se si pensa alle 11 procedure autorizzative approvate dal MASE dal 2020 ad oggi. Governo italiano agisca con politiche ambiziose finalizzate al tracciamento e alla riduzione delle perdite di metano e recepisca in tempi brevi nuovo Regolamento europeo”
Ben 42 punti di emissione di metano, dei quali 20 casi di venting (rilascio diretto in atmosfera) e circa 22 perdite in differenti componenti delle infrastrutture (bulloni, valvole, giunture, connettori e contatori). Questi in estrema sintesi, i dati raccolti da Legambiente in collaborazione con Clean Air Task Force (CATF) nell’ambito dei monitoraggi condotti (tra il 12 e il 14 maggio) su 19 impianti a fonti fossili in Lombardia, nel lodigiano e nel cremasco. Nella regione numero uno per produzione e consumo di energia da fossili, su 19 ben 14 delle infrastrutture che riscontrano emissioni significative di gas metano, nemico invisibile con un effetto climalterante fino a 86 volte più potente di quello della CO₂ e tra i principali responsabili della crisi climatica. Tra gli impianti che destano maggiore preoccupazione quelli di stoccaggio di Sergnano (CR) e Settala (MI): nonostante la distanza dalla componentistica e la possibilità di analizzare solo delle piccole porzioni degli impianti, sono stati trovati ben 14 punti di emissione nel primo (10 perdite e 4 venting) e 5 nel secondo (1 perdita e 4 venting). Nel caso dell’impianto di Sergnano (CR), inoltre, l’associazione ambientalista ha riscontrato un flaring non acceso che ha sfiatato una nuvola di metano in maniera continua. Problema che ha riguardato non solo i diversi pozzi collegati all’impianto, ma anche la centrale di trattamento e raccolta di idrocarburi ENI di Caviaga (LO) e quella di stoccaggio di Cordegliano IGS (LO).
L’indagine, resa possibile dalla termocamera per la rilevazione ottica di gas “FLIR GF320”, è stata condotta nell’ambito della tappa in Lombardia della seconda edizione di “C’è Puzza di Gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, la campagna del Cigno Verde insieme a CATF nata con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di metano in atmosfera; e che, partendo da presidi, flash mob e vertenze denuncia la dipendenza del Belpaese dalle fossili e monitora le infrastrutture, portando alla luce come il problema delle dispersioni di gas metano sia il comune denominatore di tutte le Regioni italiane: dalla Sicilia all’Abruzzo, dalla Basilicata alla Campania fino alla Lombardia e il Piemonte, protagoniste dell’ultima tappa.
“I dati che presentiamo oggi non fanno che darci la conferma di un nemico silenzioso, il gas metano, che minaccia il nostro presente e futuro – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente –. All’Italia serve un Governo che abbia più coraggio, che punti su politiche diverse fatte di efficienze energetica, rinnovabili, reti e accumuli. In tema di emissioni fuggitive non solo è fondamentale che recepisca al più presto il Regolamento europeo in materia (alle battute finali) ma che vada nella direzione indicata dalla IPCC, attuando politiche ambiziose e colmando anche le lacune del documento europeo. A tal proposito è fondamentale non solo che il tema entri nel Piano nazionale Integrato Energia e Clima, ma che nessun euro speso dalle imprese per monitorare e intervenire sulle dispersioni gravi sulle bollette di famiglie e aziende”.
“La nostra Regione è quella che produce e consuma più energia da fossili in Italia – commenta Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia –. Un primato di cui non andare fieri. Grazie alla termocamera ad infrarossi oggi abbiamo osservato le imponenti perdite di metano della rete infrastrutturale. Un pericolo che non può che intensificarsi se si pensa alle 11 procedure autorizzative approvate dal MASE nella Regione dal 2020 ad oggi, tra cui i progetti di revamping e ampliamento riguardanti la centrale di Tavazzano Montanaso (LO). Progetti che, ci dimostrano, che stiamo andando nella direzione sbagliata, contraria alle rinnovabili e al phase-out da tutte le fonti fossili climalteranti”.
Le fonti fossili in Lombardia. La Lombardia è la Regione che produce più energia in Italia con 50,4 TWh di elettricità generata (2022), della quale il 72% proveniente dal comparto termoelettrico, dove il gas fossile è la principale fonte energetica utilizzata, con 34,4 TWh prodotti. Non a caso, la Lombardia è anche la regione italiana con i consumi più alti di gas: ben 16,1 miliardi di metri cubi nel 2022, a fronte di un consumo nazionale di 67,2 miliardi (il 24%). La distribuzione e il termoelettrico sono i comparti con i consumi più alti (7,6 miliardi di metri cubi e 6,3), seguito dal settore industriale (2,6). Quello del termoelettrico fossile è un comparto destinato ad espandersi: sono infatti ben 11 le procedure autorizzative approvate dal MASE nella Regione dal 2020 ad oggi, distribuite su 7 centrali, tra progetti di revamping su centrali a gas già esistenti e installazione di nuove turbine; di queste 5 si sono aggiudicate aste del Capacity Market tra il 2022 e il 2024, godendo di incentivi statali. Tra i progetti quello di revamping e ampliamento (per un passaggio di potenza elettrica da 1460 MW a 2041 MW) della centrale di Tavazzano Montanaso (LO). Altro comparto in cui la Lombardia svolge un ruolo centrale è quello legato allo stoccaggio di gas, ospitando sul suo territorio il maggior numero di impianti di stoccaggio in Italia (ben 6) distribuiti su cinque concessioni con 135 pozzi. Stoccaggio affiancato dalla produzione di idrocarburi che nel 2023 ha registrato 21,768 milioni di metri cubi di gas.
Regolamento europeo sulle emissioni di metano: luci e ombre. Il Regolamento è stato votato lo scorso aprile 2024 dal Parlamento Europeo e passerà per il Consiglio per l’approvazione finale. Per il Cigno Verde, però, nonostante sia un importante passo in avanti, prevede delle tempistiche troppo dilatate e non interviene in maniera sufficientemente ambiziosa. Prima del 2030 non verranno introdotti standard sulle importazioni di gas. Standard che se applicati immediatamente potrebbero garantire un risparmio di 90 miliardi di metri cubi di gas, pari a 54 miliardi di euro l’anno, evitando il 30% delle emissioni di metano globali dal settore del gas e del petrolio. L’introduzione di questi standard dopo il 2030 è in pieno conflitto con gli obiettivi fissati nell’ambito della Global Methane Pledge, oltre che un’enorme occasione persa in termini di risparmio di risorse. A queste si aggiunge l’intenzione di scaricare i costi dell’implementazione del regolamento sulla cittadinanza e un diffuso ricorso alle eccezioni (tra le più preoccupati la possibilità per l’operatore di ridurre la frequenza delle attività di rilevamento e riparazione delle perdite, anche fino a 36-60 mesi, qualora dimostrasse una bassa percentuale di perdite su una determinata infrastruttura nei precedenti 5 anni).
Le immagini delle emissioni sono state riprese da Théophile Humann-Guilleminot, termografo certificato ITC(1) di CATF
Ufficio Stampa Legambiente Lombardia
Federico Del Prete
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